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DAGOREPORT - I VINTI



mourinho sputa
1 - JOSÈ MOURINHO
La prima volta che tutti capirono di che pasta fosse fatto l'iracondo Josè fu in conferenza stampa. Un lieve «portami tua sorella» diretto al cronista e subito si intuì che blandire la stampa non era al centro degli interessi dell'allenatore portoghese: «Guadagno 14 milioni di euro l'anno, voi giornalisti?». Ora, con il Real Madrid in crisi e il Barcellona lontano, in Spagna riflettono sulla successione.

A Dubai, tre giorni fa, seduto con Maradona, Josè pareva più sereno che nella capitale madrilena dove aveva litigato con società, totem Casillas e altra mezza squadra. Come un pesce d'aprile anticipato (l'avrebbe suggerito Zidane) qualcuno ha adombrato il nome di Lippi come sostituto. Caratterialmente non ci sarebbero enormi differenze. Sullo smacco di una simile incredibile soluzione, potrebbero essere scritti volumi. Aspettiamo. Domani è un altro giorno, si vedrà. Per Mourinho, in un annunciato valzer delle panchine, comunque vada il futuro sarà inglese.

2 - ROBERTO MANCINI
Tra un cachemire in tinta e una bizza di Balotelli, il Mancio arranca. Fuori con onta dalla Champions, lontano dalla vetta in Premier League, dopo il trionfo dello scorso anno anche l'ex tecnico dell'Inter scopre la difficile arte della ripetizione. Dopo la sconfitta di Sunderland, le solite scuse. Arbitro, sfortuna, campo allentato. I proprietari, arabi e ricchissimi, sembrano essersi stancati. Rivoluzioni in vista?

3 - MAURIZIO ZAMPARINI
Cambia che ti ricambia, cadde anche Zampa. Indeciso tra la lotta ai balzelli di Equitalia, l'apertura di un
supermercato palermitano, la discesa in politica e l'esodo verso Trieste (leggi Triestina), il prode Maurizio, presidente del Palermo, ha prima scelto Sannino per la guida tecnica: «Ci porterà in Europa». Poi lo ha esonerato al primo scivolone (allenatore numero 52 della serie). E infine ha affidato la baracca a Gasperini e all'ex catanese Pietro LoMonaco (eresia!) senza poter assicurare a nessuno dei due la permanenza in serie A. Il Palermo è terzultimo. Ha vinto solamente tre volte. Si copre con un portiere inguardabile (l'albanese Ujkani), una difesa allo sbando, un centrocampo modestissimo e in avanti (in attesa che cresca il promettente Dybala, 19 anni, pagato 12 milioni di euro) il peso regge ancora sul bravo, bravissimo, ma stanco Fabrizio Miccoli. Sarà sufficiente? Ne dubitiamo.

4 - PROCURA FEDERALE
Tanto tuonò che non piovve. O meglio, diluviò solo sulla testa dei soliti noti. Del processo estivo alle
scommesse sul calcio sono rimaste squalifiche risibili, appestati in serie (il grande accusatore Filippo Carobbio su tutti), frotte di miracolati che non diversamente da Moggi in un lontano pomeriggio barese: «Mi hanno ucciso l'anima», hanno avuto tribune coperte per continuare a dare indicazioni via telefono ai fidati sostituti in panchina e tribunette mediatiche per annunciare querele. Tanto rumore per nulla, mentre altri filoni si esauriscono o vengono procrastinati a fine torneo. Una follia. L'unico arrestato di nome del mazzo, Stefano Mauri, continua a correre (e bene) in serie A. Per la serie "disastri di un campionato poco serio", Stefano Palazzi show.
 
5 - CIRO FERRARA
«Ciao Ciro», «che piacere averti qui, Ciro» e poi, senza le urla delle Sandrocchie Milo contemporanee, Ciro di qua, Ciro di là, Ciro, ancora Ciro, sempre Ciro. Ora l'ex terzino della nazionale che faticava a stringere la mano a Zeman, ma anche a Maran, persa la benevolenza della truppa di Sky capitanata da Ilaria D'Amico, ha perso anche la panchina della Sampdoria. Si era salvato da sette sconfitte consecutive, era riemerso con il derby, è caduto ancora. Definitivamente. Al suo posto Delio Rossi, giunto a Genova dopo l'ennesima debacle ferrariana con piagnisteo a Catania. Un promettente inizio seguito da una serie infinita di baratri con vista serie B. Per Ferrara la fine era nota, per quest'anno, niente seconde occasioni.

6 - ALEXANDER PATO & WES SNEIJDER.

E alla fine, con ogni probabilità e salvo sorprese, insieme al fratello di passaporto Robinho, il papero partì. Lontano dal genero. Lontano da Barbara. Lontano dalle promesse, dal freddo di Milano e dal talento. In Brasile, da dove tutto iniziò, per ritrovarsi al termine di una parabola fatta di magie in numero equiparabile agli infortuni. Corinthias, caldo, sole, saudade. Basterà?
Titoli di coda per Wes Sneijder. Come già scritto su Dagospia, l'olandese non vola più da tempo e non solo per sue colpe. Pessima gestione del suo caso, dirigenti morattiani ai limiti del dilettantismo contrattualistico e finale triste e solitario per uno degli eroi del Triplete. C'è il Liverpool. Se i soldi saranno tanti, benedetti e subito, si farà. Adieu, Mr. Wes.

7 - MAX ALLEGRI.
Un giorno Guardiola, quello dopo Spalletti e poi fiumi d'inchiostro sui possibili sostituti. Comunque vada a finire, nonostante l'ottimismo di facciata, Max il portuale livornese che diventò berlusconiano per obbligo e realismo, non sembra avere grandi prospettive sotto le tramontanti volte di Arcore. Qualche mese ancora e poi sarà l'addio.

8 - ENRICO PREZIOSI
Questa volta Joker Preziosi ha perso giocattolo e sorriso. Solito ribaltone sul mercato, squadra modesta con l'illusione Borriello lì davanti, risultati alterni con Gigi De Canio i panchina fino all'esonero e all'arrivo di un altro Gigi. Il friulano di Aquileia Delneri. Uno che da qualche stagione vola bassissimo e su dieci gare a disposizione ne ha perse sette. Il rischio che il glorioso Grifone abbassi le ali e plani in serie B dalle parti di Lanciano è più di un'ipotesi. La piazza bolle, i tentativi di raffreddarla per ora vani, i propositi di addio del "Pres" urlati al cielo, ma in mancanza di acquirenti velleitari come tutto il resto.

9 - I MEZZAROMA'S.
Prendi una squadra modesta, una piazza economicamente depressa. Una bellissima, piccola città che calcisticamente fino a dieci anni fa si confrontava con la quarta serie. Mettila in serie A con 6 punti di penalizzazione. Osservala riemergere con fatica dal baratro, vincere a San Siro, stupire le Cassandre e sul più bello, con 17 punti conquistati, caccia senza una sola ragione l'artefice del faticoso miracolo, Cosmi Serse. La bionda Valentina Mezzaroma soffre in tribuna, agita i tatuaggi e gli occhi belli. Con il sodale Massimo ha appena rovinato ogni cosa. Non le resta che piangere, come in un vecchio film.

10 - MARIO BALOTELLI.

Agli europei estivi ci aveva fatto sognare. E giù paginate retoriche sul potere nero, sull'irruenza finalmente incanalata negli alberati viali del talento, sul genio di un calciatore più forte della media dei coetanei, di passaporto italianissimo e futuro aureo. Cinque mesi più tardi di Mario Balotelli non c'è traccia. Non gioca da quasi due mesi, al City depresso di Mancini è il quarto attaccante della lista. In molti vorrebbero scommettere sull'immediata resurrezione, ma frenati dal prezzo e dal carattere (palma d'oro Cafonal e medaglia del pessimo gusto alla querelle filiale con Raffaella Fico) lasciano Mario ai dubbi amletici. Essere. Non essere. Diventare. A ben vedere, sempre la stessa pagina del libro.


I VINCITORI


1 - LEO MESSI.
Il calcio di oggi. E quello di ieri. La favola della crescita. E quella della conferma. La sofferenza, la catarsi, il dipinto vivente, il folletto da Playstation che respira, inventa, trasforma l'impossibile in geometrico diagramma. Il contratto scritto da ragazzo su un tovagliolo di carta. E quello a nove zeri, da uomo maturo. Poi il genio, la bellezza, il gesto, l'azzardo, il rischio. Il più grande di tutti. Semplicemente Leo. Più messia che Messi, in ogni caso. Un pallone, cento metri per farlo rotolare. Noi in poltrona a guardare. E a riavvolgere il nastro. Ancora. E ancora.

2 - FRANCESCO TOTTI
Le gambe spezzate e i sogni ancora in piedi. Le statue cittadine e i monumenti viventi. La classe pura e la leva calcistica dell'anno 1976, mese di marzo, giorno dieci. Un numero. Un destino. Ora corre più di ieri,
danza anzi. Fiato, muscoli da capitano, magie, illusione d'eternità. Lui-giura -"inaugurerò il nuovo stadio" - si proietta verso il 2014 e forse (sarebbe bello) tra tanti faraoni in partenza per il mondiale brasiliano, Prandelli potrebbe sconvolgere l'anagrafe e trascinare nel samba l'anagrafico enigma di una sfinge che anno dopo anno, invecchiando migliora. Non lo farà e Totti rimarrà un prodotto nazionale. A denominazione di origine controllata. Quando lo perderemo, magari in uno di quegli addii organizzati che irradiano tristezze senza recinti né confini, lo rimpiangeremo davvero. Per ora, di Totti, ne godiamo tutti. Romanisti e non perché il ragazzo che un giorno a Brescia Vujadin Boskov fece alzare dalla panchina ha avuto un solo amore e tanti amanti. Capitava anche a Rivera, Baggio, al Pelè del Santos e al Diego Armando che trottava tra le architetture della Boca, le luci di Barcellona e quelle di Posillipo. Francesco Totti coniugato Blasi veste in acrilico, soggiorna a Sabaudia (ma in zona lago) e disprezza il blazer. Calze basse. Cervello fino. Tacchi nell'erba finché il dio del pallone vorrà.

3 - STEPHAN EL SHARAAWY.
Per consolarci dell'addio di Ibra abbiamo scoperto questo ragazzo che segna imitandone il ritmo, ha un pessimo barbiere, nutre di costanza e applicazione l'istinto del gol e possiede il passo felpato dei predestinati. Nel Milan (un universo al tramonto), "Stefano" rappresenta l'alba da cui ricominciare. Se ci fosse stato ancora Zlatan il pazzo -dicono-l'avremmo visto ciondolare tra panca e tribuna. È andato in campo. È stato un bel vedere. Se tenesse la marcia del girone di andata supererebbe in un sol colpo i cannonieri di ogni epoca, escluso forse il Valentin Angelillo di un'epoca lontana. Aspettiamo conferme. Intanto, per il Berlusconi dissanguato da allucinanti dinamiche familiar-economico-legali, una certezza brilla. Si chiama El Sharaawy. Ha davanti a sé quindici anni di carriera. Una fitta lista di pretendenti. Se non sarà Milano e un'epoca iniziata più di un quarto di secolo fa si chiuderà davvero, a braccia aperte, lo accoglieranno altrove.

4 - ZDENEK ZEMAN.
È bollito. Decotto. Finito. Presuntuoso. Irriducibile. Testardo. Intanto è lì, a ricamare utopie quindici anni dopo, con la spaventosa tenacia di una coerenza distante dall'imbecillità e il volto solo più rugoso, ingiallito, ieratico di quando l'epopea prese il via dalle parti di Foggia. Zdenek Zeman. Il nemico di Moggi. Zeman il saggio. Zeman il maestro. Lo odiano. Lo amano. Stanno imparando a rispettarlo. Lui è ancora in piedi. Guarda oltre. In un torneo livellato verso il basso, la sua figura antica rappresenta una delle poche vere novità su piazza. Era stato esiliato. È rientrato dalla porta principale. Fuma come Manlio Scopigno. Il profeta di Rieti vinse un incredibile scudetto sardo all'alba del '70. Zeman sogna di frantumare i cristalli di Boemia della diffidenza per poi magari salutare quando nessuno se lo aspetta. Lo ha incoronato anche Fabio Capello: "È l'unico che può insidiare la Juventus". Zdengo, lo sanno anche i sassi, sogna meno di quanto non si creda, ma per fottere i rivali di sempre, pagherebbe di tasca propria.

5 - CLAUDIO LOTITO.
Nell'eterno western di Claudio il furbo, l'unica pistola carica è la sua. Indifferente ai lazzi, padrone del proscenio. Oratore instancabile, inventore di un'efficace supercazzola pallonara, "l'amico" Claudio Lo tirchio omaggia l'austerity e si fida il giusto. Taglia, decurta, minaccia, esclude, decide. Giullare protervo, capace amministratore, ottimo presidente. Dai tempi del venezuelano Mea Vitali, Claudio Lotito in Mezzaroma ha conquistato la metà della città che lo vedeva come un castigo divino. Facendo di testa propria, scoprendo tecnici sconosciuti e calciatori capaci. Abbattendo i decennali privilegi dei capi tifosi e sopportando scorte, teste di agnello sulla macchina e minacce telefoniche in serie. La sua Lazio è seconda. Nelle ultime stagioni non è mai scesa sotto il quinto posto. Lotito aveva ragione. In latino e in romanesco. Ride bene chi ride ultimo. E Claudio, negli ultimi anni, triste non è mai stato. Lo aspetta Montecitorio. A occhio, sembra tra i più vispi dell'intera pattuglia. La politica lo ha già sottovalutato una volta. Pensavano di manovrarlo. Sbagliavano. Altri affari in vista. Altre svendite. Un solo battitore d'asta. Una sola formula.

6 - EDINSON CAVANI.
L'uomo che è venuto da lontano ha la genialità di uno Schiaffino. E il fisico lungo, da trampoliere. E il volto scavato. E il passo lieve da mannequin che indossa i colori di una città e appiana i dolori con i piedi. Il re di Napoli. L'ex Vicerè di Palermo. Il futuro sovrano di Parigi, Torino, Manchester, Madrid o di dovunque ci sia un magnate che gioca con i miliardi come con le banconote del Monòpoli e sul piatto sarebbe pronto a metterne più di 70. Il monopòlio quasi esclusivo del talento intanto lo tiene stretto il ragazzo con il nome che ricorda una lampadina. Si accende e non si spegne. Elettrizza ma dà la scossa solo agli avversari. Le luci fioche non illuminano le vasche da bagno e Edinson è abituato ad abbacinare il golfo. Naviga e segna punti sulla rotta. Se non potrà raggiungerli emigrerà. Per adesso splende su Napoli. E tanto basta. Per la speranza di domani.

7 - ANDREA PIRLO.
Nella Juve che domina da due anni sul territorio nazionale, sulla scacchiera perfetta immaginata da Conte, una pedina si muove meglio di tutte le altre. Scivola tra le contromosse, irride gli accorgimenti, scardina le catene, i catenacci e le illusioni di salvezza dei nemici. Ha il cognome difficile che basterebbe un solo scambio di vocale e l'intelligenza di chi vede e sa prima degli altri. Andrea Pirlo. A Milano lo avevano dato per finito. A Milano hanno fatto, più o meno, l'errore del decennio. Il metronomo batte ancora il tempo. Lo fa meglio degli altri. Certi orologi senza età segnano sempre l'ora giusta.

8 - VLADO PEKTOVIC.
Non lo conosceva nessuno. Ha stupito tutti. Conosce e parla otto lingue. Ha la faccia da attore. Svernava in Svizzera dove La strana coppia Lotito-Tare l'ha prelevato nell'ironia generale. Estate da tregenda, proseguo da star. Ottimo tecnico, fine psicologo. La Lazio che vola in zona champions deve molto a Vlado e al suo scudiero, Miro Klose, 34 anni. Un campione. L'utilizzatore finale di un progetto che allo spettacolo ha preferito la solidità.
 
9 - VINCENZO MONTELLA.
La sua Fiorentina gioca con i tempi e il coraggio che il Montella calciatore metteva spesso in scena. Diciotto giocatori cambiati in estate, il chiaro timbro di Vincenzo. Un tipo che alla distruzione preferisce la costruzione e a Firenze, troppo semplice prevederlo, rimarrà il tempo utile a smuovere dal torpore una delle milanesi. Idee, trovate, piccole rivoluzioni di valore non quantificabile. Per una città in depressione calcistica da un buon decennio, la benzodiazepina giusta.

10 - ALESSANDRO DIAMANTI.

Non corre per lo scudetto ma ci fa divertire. Dice quel che pensa e ogni tanto pitta sulla tela lampi di puro splendore. SI chiama Alessandro Diamanti e tra uno scompartimento di seconda nel bresciano e un vagone di retroguardia in Premier League, forse ha perso il treno giusto. A una prima sommaria impressione, gli importa meno di zero. Lo amiamo per questo, il nostro Totti di provincia che ara la periferia e come nel Bologna di Fuffo Bernardini, ogni tanto emigra nel suo paradiso rosso e in blu.



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