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Vigliacco l' urlo di gioia !!
Una riflessione sul rispetto e sull'educazione

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Una riflessione nata da quanto successo alla fine dell’ incontro tra Fornovo e Lesignano mi ha portato a ripensare a quando giocavo e a quando facevo l’allenatore. Le categorie, più o meno sono le stesse e i campi, i paesi e le Società anche; quindi mi son chiesto perché ai miei tempi, certe cose non succedevano con la frequenza con cui capitano ora. Non voglio fare un discorso sulla società moderna o sulla socializzazione dell’essere umano, voglio però tirare in ballo una farsa che ha preso piede in ambito calcistico sia in categoria che nelle giovanili (purtroppo) e  che mi da un fastidio bestiale. Era tanto bestiale già ai tempi, questo fastidio, che lo avevo vietato alle mie squadre minacciando di prendere per il bavero l’intera squadra. Parlo dell’insana pratica di esultare a fine partita tra le quattro mura dello spogliatoio, solo per far bruciare gli avversari. Una pratica davvero insulsa, che ormai ha preso piede e che viene inseguita da tutti come se fosse una cosa normale. No, normale non lo è, e non lo è, perché il rispetto per l’avversario a fine partita è in tutti gli sport una regola che anche se non scritta, è comunque insindacabile e largamente condivisa. La preparazione dell’esultanza è tanto insipida quanto vigliacca, perché sappiamo tutti come avviene. C’è uno che si mette sulla porta, aspetta che tutti  siano entrati e poi mentre richiude, richiama l’attenzione dei suoi compagni invitandoli al silenzio più assoluto. Ottenuto il silenzio comincia il conto alla rovescia, che per lo più è fatto di quel ohohohoh che va in crescendo. Ecco, poi l’urlo di gioia, che di gioa proprio non ha nulla, perché ha solo un significato: “ mi ho vens e ti te pers “. Ai miei tempi, non si usava e nessun Mister l’avrebbe permesso se non in casi del tutto eccezionali. I casi eccezionali erano dovuti a finali di campionato vittoriosi o al raggiungimento di una salvezza, ma non era mai diretto all’avversario appena battuto che come si sa, è diviso da te da una fila di mattoni di una ventina di centimetri di spessore. Se la squadra avversaria fosse sistemata da un’altra parte, son sicuro che quell’urlo vigliacco, rimarrebbe sepolto nell’immaginario collettivo di spicciola inciviltà. Fatta questa filippica del cacchio vorrei che i Mister ragionassero su questa pratica e che cominciassero a pensare che se fa male riceverla, bisogna smetterla di farla e basta. Comincio io, e poi vedrai che qualcun  altro lo farà. Il rispetto lo si da e quindi lo si riceve. Se lo si da e non lo si riceve, vuol dire che chi lo doveva dare non capisce un emerito cacchio. Ma non sarà chi non capisce, che mi impedirà di portargli  comunque il mio rispetto; perché alla base, c’è che l’intelligenza si misura proprio dal comportamento. Morale della favola? Il comportamento di ognuno di noi è figlio della nostra intelligenza e in questo caso anche o soprattutto, della nostra educazione. Quando si è capo branco, e  un Mister lo deve essere, si risponde per tutti. Se non lo si fa e si alzano le spalle su queste cose, non ci si può poi domandare perché nel nostro spogliatoio siam anche noi prima o poi vittime della stessa mancanza di rispetto e della stessa mancanza di educazione. Il rispetto e l’educazione si insegnano proprio come si insegnano  la tecnica e la tattica. Meditate, mister, meditate! E se sei un Mister delle giovanili, medita ancor di più!

bymanso

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